Rischi ambientali: come si assicurano?
Nell’ambito del blog dedicato alle principali coperture assicurative, vogliamo soffermarci su un tema di particolare attualità, ovvero il rischio ambientale.
Come sappiamo, la tutela dell’ambiente è un tema giustamente centrale e l’assicurazione può svolgere e svolge un ruolo molto importante, sia nel supportare gli assicurati nella gestione del rischio, diffondendo cultura prevenzionale, sia al verificarsi di eventi che possono rappresentare un serio problema per la vita di un’azienda.
Vediamo quali sono le caratteristiche principali dell’assicurazione del rischio ambientale.
Che cosa si può assicurare nel rischio ambientale?
La copertura per i rischi ambientali può avere una duplice natura.
- Assicurazione contro i danni ambientali per evento inquinante
L’impresa, infatti, può assicurarsi per i rischi che possono riguardare i propri beni in conseguenza di un evento inquinante (ad esempio, i costi di pulizia del piazzale aziendale ove è avvenuto uno sversamento). In questo caso la copertura prestata rientra nella categoria dell’assicurazione contro i danni, ove il bene oggetto di tutela è di proprietà dell’assicurato (o comunque rientra fra i beni per i quali l’assicurato ha un interesse) - Responsabilità ambientale per rischi del patrimonio
Il rischio sicuramente più significativo da un punto di vista economico è, tuttavia, quello della responsabilità ambientale, per il quale l’assicuratore si obbliga a tenere indenne l’assicurato non soltanto per i danni a terzi derivanti dal fenomeno inquinante, ma anche per i costi per interventi di emergenza e di ripristino/bonifica del danno ambientale.
Quest’ultimo tipo di copertura rientra nella categoria dei rischi del patrimonio, in quanto appartiene a tutti gli effetti al genus dell’assicurazione di responsabilità civile.
Quali forme di riparazione prevede la normativa comunitaria?
Occorre infatti tenere presente che, in caso di danno all’ambiente, gli obblighi posti a carico del responsabile, ai sensi dell’art. 7 della DIR 2004/35/CE, attengono a tre forme di riparazione:
- Riparazione primaria, con la quale si tenta di riportare le risorse ed i servizi danneggiati alle condizioni originarie.
- Riparazione complementare, con la quale si cerca anche in un sito diverso da quello danneggiato di ottenere un livello di risorse analogo a quello precedente l’evento qualora non si riesca a far tornare risorse e servizi alle condizioni originarie.
- Riparazione compensativa, che riguarda qualsiasi intervento finalizzato a compensare la perdita temporanea di risorse e servizi naturali fin quando la riparazione primaria non abbia prodotto i suoi effetti.
Questi obblighi riparativi altro non sono che una forma di risarcimento in forma specifica, che il Codice Civile all’art. 2058 c.c., il cui primo comma prevede che:
“Il danneggiato può chiedere la reintegrazione in forma specifica, qualora sia in tutto o in parte possibile”.
La natura di questi obblighi, che divengono oggetto di copertura, rende l’assicurazione di responsabilità ambientale una vera e propria assicurazione del rischio di responsabilità, sia pure con inevitabili caratteristiche e connotazioni.
Risulta a questo punto doveroso un approfondimento sull’oggetto del rischio.
Qual è l’oggetto del rischio nell’assicurazione della responsabilità ambientale?
Al fine di comprendere l’oggetto della copertura assicurativa per il rischio ambientale è utile un brevissimo excursus su quanto oggetto del rischio.
La disciplina della responsabilità ambientale è molto cambiata nel corso degli anni, anche grazie – se non soprattutto – alla normativa comunitaria. L’evidente difficoltà di individuare l’ambiente come bene oggetto di tutela aveva come inevitabile conseguenza il problema di definire un criterio attraverso il quale offrire tutela allo stesso.
Qual era la disciplina della responsabilità ambientale prima della Direttiva europea?
Il primo criterio individuato dal nostro Legislatore aveva una chiara natura risarcitoria: l’art. 18 della Legge 8 luglio 1986 n. 349, istitutiva del Ministero per l’Ambiente, in attuazione del principio “chi inquina paga”, prevedeva che:
“Qualunque fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge che comprometta l’ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, obbliga l’autore del fatto al risarcimento nei confronti dello Stato.
Per la materia di cui al precedente comma 1 la giurisdizione appartiene al giudice ordinario, ferma quella della Corte dei conti, di cui all’articolo 22 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3.
L’azione di risarcimento del danno ambientale, anche se esercitata in sede penale, è promossa dallo Stato, nonché dagli enti territoriali sui quali incidano i beni oggetto del fatto lesivo…”.
In realtà nulla impediva una tutela risarcitoria sulla base dei principi previsti dall’art. 2043 c.c. e 2058 c.c. in favore dello Stato allorché fossero state violate norme specifiche poste a tutela della salubrità del territorio.
Cosa cambia con l’emanazione della Direttiva n. 35 del 2004?
Il quadro normativo cambia radicalmente con la D.I.R. 2004/35/CE, la quale in tema di responsabilità ambientale, riprendendo il principio “chi inquina paga”, individua tre diverse fattispecie di danno all’ambiente, ovvero:
- danno alle specie e agli habitat naturali protetti, cioè danno che produce effetti negativi sul raggiungimento o sul mantenimento di uno stato di conservazione favorevole di tali specie e habitat;
- danno alle acque;
- danno al terreno, cioè qualsiasi contaminazione del terreno che crei un rischio significativo per la salute umana a seguito dell’introduzione, diretta o indiretta nel suolo, o nel sottosuolo, di sostanze, preparati, organismi o microorganismi.
Per approfondire come il Legislatore nazionale ha disciplinato la materia dopo la Direttiva n. 35/2004, si veda il prossimo articolo del blog dedicato alla Normativa del danno ambientale.